Il tempo, lo sappiamo, “aiuta” spesso a vedere le cose in maniera diversa rispetto al momento in cui si verificano: ciò che sembra avere una valenza assolutamente positiva, a distanza di tempo potrebbe poi non esserlo, o esserlo meno; viceversa, ciò che viene valutata, in quel momento una “catastrofe”, scopriamo che, invece, poi tanto catastrofe non era (fermo restando che ci sono cose che sono e rimarranno positive sempre e altre che sono e rimarranno sempre negative).
L’epoca dei tassi a zero, situazione di cui non si aveva memoria, successiva al memorabile “whatever it takes” del nostro “Supermario” Draghi ne è un esempio calzante.
Una scelta che ha contribuito in maniera probabilmente determinante a “salvare” l’€ e la UE, e con loro, altrettanto probabilmente, il mondo come ora lo conosciamo: il collasso dell’€, infatti, avrebbe avuto conseguenze devastanti sui mercati finanziari (e quindi sulla nostra vita), che non sarebbe esagerato paragonare a quanto successo alla terra 66 ML di anni fa, quando un gigantesco meteorite di circa 10 km di diametro si schiantò nel Golfo del Messico, causando conseguenze ambientali che portarono ad uno sconvolgimento climatico epocale, con la scomparsa di oltre l’80% delle specie faunistiche esistenti e all’avvento di un “nuovo mondo”.
In quegli anni, iniziati verso il 2014, quando il tasso €uribor per la prima volta scese in territorio negativo, chi non ha pensato che quel “nuovo mondo” avrebbe portato crescita, benessere, stabilità finanziaria (e quindi anche politica: le 2 cose, spesso, viaggiano a braccetto), equilibri geo-politici. E per un po’ (un bel po’) non si può dire che le cose non siano state così: avere tassi a zero, o addirittura sotto zero, è stato quasi uno choc.
Una fase di denaro facile, che, ovviamente, ha portato famiglie, aziende e soprattutto governi ad aumentare la quota di debito, visto un costo per interessi a livelli mai visti prima: quella che sembrava una situazione “eccezionale” era diventata pressochè la “normalità”.
Una “normalità” che però ha dovuto fare i conti con un evento quello sì veramente eccezionale: l’arrivo della pandemia, un vero e proprio caso di scuola di “cigno nero”, ha nuovamente sconvolto il mondo, rendendo necessario “riversare” nuovamente un’immensa quantità di denaro sul sistema globale per provare, un’altra volta, a “salvare il mondo”.
Tutto, però, ha un prezzo. Se poi, ad eventi già di loro eccezionali, se ne aggiungono altri, diversi come origine, ma altrettanto gravi nelle conseguenze (anche se forse geograficamente più limitate), come le crisi geo-politiche, ecco che il “binomio” può diventare devastante. Si è passati, nel giro di pochissimo tempo, in una situazione diametricamente opposta: un po’ come passare, nell’arco di una giornata, da una temperatura artica ad una equatoriale. Senza avere, però, l’abbigliamento giusto: un conto è pagare zero, o giù di lì, un altro l’8, il 9, il 10% o anche più. Con la differenza, determinante, che, nel frattempo, la “base di calcolo” è aumentata vertiginosamente.
Prendiamo il debito pubblico globale: nel 2000 era pari a circa $ 20.000 MD. Nel 2008 era già praticamente raddoppiato ($ 40.000 MD). Crisi Lehman Brothers: altri 4 anni, e siamo (2012) a 60.000 MD. 2020: pandemia: 85.000 MD. Qui e ora: 98.000 MD ($ più $ meno). E, secondo le previsioni dell’Insitute of International Finance, nel 2028 dovrebbe raggiungere i $ 130.000 MD circa. Se poi ci aggiungiamo gli investimenti che gli Stati dovrebbero realizzare per raggiungere, entro il 2050, l’obiettivo delle zero emissioni, ne servirebbero, sempre entro il 2028, altri 25.000. Bazzeccole…
Questo solo per quanto riguarda i debiti governativi. Se a questi aggiungiamo il debito privato (imprese, famiglie, enti) arriviamo all’iperbolica cifra di $ 323.000 MD (erano 220.000 nel 2016: quindi in 8 anni sono aumentati di circa il 50%).
L’Italia per molto tempo è stata considerata (per alcuni lo è ancora, anche se la Francia sta facendo di tutto per “rubarci” il posto…), grazie al proprio debito pubblico e, soprattutto, per il rapporto tra debito e crescita, il ben noto rapporto debito/PIL, con percentuali da paura (ad oggi siamo a circa il 140%). Se consideriamo, a livello globale, questo parametro, per il debito complessivo, il mondo si trova all’incredibile rapporto del 323% (ma tra il 2020 e il 2021, nel pieno dello choc pandemico, eravamo arrivati al 350%). E l’Italia? Se guardiamo al debito complessivo, scopriamo che siamo a $ 6.600 MD: vale a dire il 273%. Percentuale certamente elevata, ma bel lontano da quella che fa registrare l’economia mondiale e, soprattutto, di poco superiore a quella che avevamo nel 2008.
Non c’è bisogno di essere dei “maghi della finanza” per comprendere che, su debiti così elevati, un conto è pagare interessi tendenti allo zero, un altro è pagare percentuali del 2-3-4%: gli “accantonamenti” necessari per coprire la spesa per interessi sono, infatti, “detrattori” di crescita, distogliendo risorse che altrimenti andrebbero a finire direttamente in investimenti produttivi o contribuirebbero a rafforzare il reddito delle famiglie o i margini aziendali.
Pensare, allo stato attuale, di “rientrare” da una voragine così enorme è pura fantascienza: la cosa fondamentale è, invece, la sostenibilità del debito, vale a dire migliorare (o per lo meno mantenere) il rapporto debito/PIL, obiettivo perseguibile a condizione che il debito futuro aumenti in percentuali inferiori alla crescita economica.
Le vicende coreane non disturbano più di tanto i mercati finanziari.
Le dichiarazioni della Banca Centrale Coreana, che si è detta pronta ad effettuare tutti gli interventi che si rendessero necessari, ha riportato la serenità. Il Kospi di Seul, dopo una partenza decisamente negativa (circa -2,5%) ha recuperato sino a portarsi intorno al – 1,4%.
In Giappone il Nikkei si appresta a chiudere appena sopra la parità, così come l’Hang Seng a Hong Kong.
Negativa (- 0,44%) Shanghai.
Bene il Taiex di Taiwan (+ 0,99%), sempre trascinato dai titoli tecnologici.
Leggermente negativa Sidney (- 0,4%).
Futures positivi a Wall Street, riflessivi, invece, quelli europei (Eurostoxx – 0,14%).
Balzo in avanti del petrolio, con il WTI che si porta sopra i $ 70 (70,20, + 0,27%).
Gas naturale Usa che arresta la sua frenata, riuscendo a rimanere sopra i $ 3 (3,055, + 0,23%).
Oro stabile, a $ 2.668 (-0,07%).
Spread sotto i 120 bp, al record di 118 bp.
L’evento clou della giornata sarà il voto di fiducia del Parlamento francese, con il Governo Barnier che, salvo sorprese, dovrà arrendersi all’evidenza dei numeri.
BTp al 3,25%.
Bund 2,07%.
Stabile il Treasury, a 3,23%.
€/$ 1,051.
In ripresa il bitcoin, nuovamente “in marcia” verso i $ 100.000 (97.725).
Ps: in Italia si susseguono le “disquisizioni” sulle (presunte) voci della “liquidazione” che Carlos Tavares, il dimissionario AD del Gruppo Stellantis, potrebbe “portare a casa”. Si tratterebbe di una cifra intorno a € 100 ML (lo stipendio medio lordo di un dipendente del gruppo è pari ad € 64.000). Ma tutto è relativo, come sappiamo. Il “nostro idolo”, Elon Musk, si è visto bocciare, ieri, da un giudice americano l’emolumento, relativo al 2018, già autorizzato dal CdA di Tesla e già fonte di polemiche, di “soli” $ 52 MD (56 secondo altri): cinquantadue miliardi. Già così è l’uomo più ricco del mondo, con un patrimonio personale di oltre 336 MD di $. La domanda è: ma cosa ne vuol fare di questi soldi…? Iniziare a ripianare il debito globale….?